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Lavori pubblici, Confesercenti: «Le grandi imprese vengono a patti con la mafia»

di Claudio Tucci

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22 ottobre 2007


Cresce il condizionamento esercitato dalla criminalità mafiosa sulle imprese italiane. Accanto a un'attività parassitaria di tipo tradizionale, costituita dai reati di estorsione e usura, aumenta la cosiddetta mafia imprenditrice, ormai presente in ogni comparto economico e finanziario del Belpaese. Si parla dei condizionamenti della mafia nel mercato, dei costi derivanti dalla criminalità di strada, delle attività illegali, a cominciare dall'abusivismo, passando per il contrabbando e il cybercrime. I commercianti e gli imprenditori subiscono 1.300 reati al giorno, praticamente 50 l'ora, e nelle casse delle organizzazioni criminali confluiscono proventi pari più di 90 miliardi di euro, una cifra intorno al 6% del Pil nazionale. Affari fiorenti per la criminalità mafiosa anche dal racket, che colpisce 160mila commercianti e che comporta un introito indebito di circa 10 miliardi di euro. In Puglia, Campania, Calabria e Sicilia sono concentrati ben 132mila commercianti che pagano il pizzo. Sono questi, in sintesi, i principali dati contenuti nel rapporto di Sos Impresa «Le mani della criminalità sulle imprese», presentato, a Roma, dal presidente di Confesercenti Marco Venturi che descrive modalità e sistemi di condizionamento nel tessuto economico del Belpaese messi in atto dai sodalizi criminali.

«Il Governo - spiega il viceministro dell'Interno Marco Minniti - presenterá domani il
proprio pacchetto» contenente nuove norme per la sicurezza, con innovazioni legislative per «colpire in maniera molto forte i patrimoni» delle organizzazioni criminali. A questo proposito l'obiettivo di uno dei ddl che sará portato domani all'esame dell'Esecutivo sará quello di «rivisitare il punto chiave delle misure di prevenzione» patrimoniali e personali.

Dal rapporto, giunto alla decima edizione, emerge il crescente consolidarsi delle mire imprenditoriali delle mafie in un po' tutti i settori economici e finanziari del Belpaese: dalla filiera agroalimentare al turismo, dai servizi alle imprese a quelli alla persona, senza dimenticare, poi, gli appalti, le forniture pubbliche, oltre che il settore immobiliare e finanziario. Tra la tipologia di reati commessi a danno delle imprese, svetta l'usura, che produce da sola un giro d'affari di 30 miliardi di euro, che per i 150 mila commercianti colpiti ha un costo stimato in 12 miliardi di euro. E tra i nuovi attori del crimine, in evidenza la promozione a capo di molte donne, mentre preoccupa il forte abbassamento di età degli estorsori, che vede sempre più spesso il coinvolgimento di minorenni in numerosi atti criminali.

Si allarga, segnala il rapporto, la cosiddetta «collusione partecipata», che investirebbe, secondo lo studio, la grande impresa italiana «impegnata nei grandi lavori pubblici, che preferisce venire a patti con la mafia piuttosto che denunciarne i ricatti». Da evidenziare, infine, tra le nuove realtà malavitose evidenziate nello studio, i «mafiosi dalla faccia pulita», ovvero imprenditori, professionisti, tecnici, amministratori pubblici, che da curatori di interessi locali e da una posizione «riservata» all'interno dei clan, nota cioè solo a massimi vertici, sono diventati capi di primo livello.

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